POETICA A VERONA | il passato: la prima intervista su Poetica

dall'Archivio Storico : La prima intervista per POETICA Conversazione con Ida Travi – 11 maggio 2002 (a cura di Camilla Bertoni)

 Ida Travi ha ideato i corsi di “Poetica”, percorsi tra la poesia ed il pensiero contemporaneo, in collaborazione con il Comune di Verona e la I Circoscrizione. A partire dai testi nati durante l’ultimo Laboratorio di “Poetica”, ha curato lo spettacolo “Verso libero” [presentato al Teatro Camploy lo scorso 9 maggio] assieme ad Andrea Mannucci per la parte musicale e a Marcella Galbusera per le coreografie. L'oralità...
 I.T. - Sono tanti anni che proseguo nella direzione di una sorta di poesia orale, in cui il foglio scompare. Non mi piace il foglio davanti, non mi sono mai chiesta il perché… Ho cominciato a ‘dire’ i testi, perché agiva dentro di me una sorta di memoria del testo che mi portava poi, al momento della lettura, a comporli anche usando frammenti di vari testi che venivano ad accostarsi e formavano ogni volta un insieme leggermente diverso, sempre nuovo. Poi ho scritto un libro che si intitola “L’aspetto orale della poesia”, e mentre scrivevo questo libro ho fatto un lavoro di ricerca a partire da quella che era stata la poesia orale nel periodo classico, a partire da Omero fino a Platone.
Mi sono resa conto che stavo ripetendo uno schema molto antico, inconsapevolmente. Perché anche allora c’erano dei formulari fissi, che l’aedo o il poeta stesso ripetevano e componevano in vari modi, a seconda della situazione, a seconda di ciò che volevano comunicare in quel momento. C’erano dei nuclei mobili che ritornavano, e il fatto che tornassero aiutava il poeta stesso e chi ascoltava a mandare a memoria, a ricordare: c’era una specie di ritmo interno - oltre che nel testo stesso - anche nel montaggio. E’ la stessa cosa che faccio io quando leggo i testi in giro. Anche se il testo sembra essere lo stesso, in realtà non lo è mai perché viene composto, costruito ogni volta in maniera diversa. A partire da questo ‘aspetto orale’ della poesia, mi sono resa conto che c’era una specie di musicalità di fondo, un ritmo che aveva qualche cosa a che fare con la musica. E nello stesso tempo mi sono trovata a collaborare quasi per caso con il maestro Andrea Mannucci su un altro piano, perché erano partiti i corsi di Poetica con la I Circoscrizione. Anche questi corsi sono cominciati per caso. Avevo fatto una lettura da qualche parte nel veronese, in una villa, e una persona che era venuta a sentire mi ha telefonato il giorno dopo dicendo che non aveva capito niente, ma che avrebbe voluto capire, così come altre persone che avrebbero voluto entrare nella poesia contemporanea, cercare di capire cos’è questa ‘cosa’ così difficile e oscura. Ho pensato di creare un gruppo. Così abbiamo cominciato a fare questo gruppo di poesia teorica sulla poesia del Novecento, che comprendeva una parte teorica, in cui si studiavano, si analizzavano alcuni poeti, e una parte di laboratorio, in cui le persone cominciavano ad esprimersi a loro volta. Dopo di che questo corso è approdato in Circoscrizione e sono nati i corsi di “Poetica”, il cui sottotitolo è ‘Un percorso tra poesia e pensiero’. Credo che dietro a qualsiasi forma di poesia vi sia un atteggiamento esistenziale. Abbiamo cominciato a riflettere sul Novecento come condizione generale di pensiero, partendo dall’analisi fra l’analisi di determinati aspetti di alcuni filosofi del Novecento e la riflessione verteva sui punti che ritenevo fossero comuni anche ad un poeta del Novecento. Ad esempio le poesie di Trackl affrontate da Heidegger: c’è un punto in cui la poesia di Trackl e il pensiero di Heidegger si toccano profondamente. Così si è costruito un corso che prevedeva una decina di filosofi e una decina di poeti. Questa rappresenta la parte teorica di poetica. Poi vi è il momento del laboratorio, in cui le persone - in base a ciò che si muove dentro di loro, a ciò che si dice e si ascolta durante gli incontri - cominciano a scrivere versi. L’ultimo gruppo di versi composti sono stati quelli che abbiamo ascoltato al Teatro Camploy. Sono testi di persone che talvolta non avevano mai scritto prima. Lo scopo è quello di aiutare le persone a rimettersi a contatto con la poesia, lavorando però con un linguaggio che sia proprio, attraverso la ricerca di un linguaggio non legato a schemi: non più il linguaggio della politica, della scuola, della televisione, che sono linguaggi precostituiti Si tratta di mettersi in cammino verso la ricerca di ciò che ciascuno sente dormire profondamente dentro di sé e tirarlo fuori. Questo è lo scopo dei corsi di Poetica.

 Il rapporto tra poesia e musica
 I.T. Il rapporto tra poesia e musica è nato così. Mi sono trovata con questi testi davanti il primo anno - e li vedevo essere nati spontaneamente, attraverso uno ‘stato di grazia’ creativo che è di tutti e che ha un valore in sé, solo per il fatto di essere riusciti a farlo venir fuori. Ho pensato di chiedere agli allievi della scuola di composizione del Conservatorio, passando attraverso il loro insegnante, di pensare a delle musiche sui testi di laboratorio, sui testi che erano usciti spontaneamente, cose che si stavano facendo. Ho pensato al fatto di creare un momento nascente, qualcosa che nasca dalla base, senza grandi nomi, che abbia un valore proprio perché è praticato, che diventi una pratica della scrittura che si diffonde e che è una sorta di riconquista popolare, pur mantenendo alti livelli - perché abbiamo da un lato una scuola di composizione e dall’altro lato persone che studiano la poesia contemporanea, che fanno un lavoro grosso di approfondimento e di fatica. I corsi di “Poetica” sono corsi pesanti, si svolgono di sera, dopo il lavoro, si finisce a mezzanotte, non c’è svago, è un lavoro di impegno, di passione, di amore. Così il primo anno ho telefonato al maestro Mannucci, gli ho spiegato la cosa, lui è stato interessato. Il rapporto fra la poesia e la musica contemporanee è molto fragile, e forse un modo per farlo vivere è proprio partire dalla base. Così ogni anno siamo andati avanti. Nel frattempo Mannucci ha lavorato su testi miei, con un piano di composizione di persone che hanno più esperienza, che lavorano da anni sulla poesia e sulla musica.

 Secondo il suo punto di vista di poetessa che ha collaborato e collabora con compositori, che differenza esiste fra la composizione di un testo di canzoni, fra la scrittura pensata all’interno della musica, e la composizione di una musica a partire da un testo poetico?
 I.T. - E’ un problema aperto: prima la musica e poi il testo, o prima il testo e poi la musica? I cantautori lo risolvono perché in questo caso autore dei testi e compositore sono la stessa persona. Ma quando si lavora in due ci si deve interrogare a lungo... Ai fini della ricerca, essere in due aiuta perché c’è un confronto aperto. Uno è costretto a piegare i propri modi alle esigenze di un’altra persona fisica. Il rapporto fra i due poli – musica e poesia – c’è sempre, anche all’interno di una persona sola. Ma quando ci sono due persone fisiche che si parlano e dicono ciò che pensano è diverso. C’è una sfida che Mannucci ed io vogliamo portare avanti: lavorare sulla sensibilità della poesia contemporanea e sulla musica colta, rendendo questa fruibile dalla maggior parte di persone possibile, senza però fare musica popolare che ha già il suo spazio e i suoi modi. Cerchiamo di creare una terza via che consenta alle persone di comprendere anche quello che può essere il lavoro della musica colta, quello praticato nei conservatori e che non è giusto rimanga sempre là. Mi vengono in mente i Lieder, che non ci sono più nel contemporaneo, ma senza rifare i Lieder che ci sono già stati. Sarà un lavoro di anni, è la nostra scommessa. Io ho dovuto lavorare molto sui miei testi, svuotandoli di sonorità, per lasciare entrare la musica. Per tutta la parte di testi che ho letto alla fine dello spettacolo, che sono nati come poesie, non ho voluto la musica, perché sono nati come poesie e hanno una propria sonorità. Sono poesie nate e pensate nel silenzio, e devono vivere nel silenzio. La seconda parte invece è stata pensata per essere musicata. In quel caso ho dovuto liberare le parole dal loro suono per fare più spazio alla musica, senza per questo essere didascalica. Si parla tanto oggi di poesia e musica. In realtà succede spesso che i risultati sono semplici accostamenti, che poesia e musica diventano una decorativa dell’altra, una supporto dell’altra. Il lavoro che abbiamo in mente Mannucci ed io è quello di trovare una via di ricerca che tenga insieme la musica e la poesia senza che vi sia un accostamento superficiale, bensì un lavoro in profondità tra la poesia e la musica, seppur nella leggerezza, perché le canzoni dello spettacolo che abbiamo chiamato “elettroniche” erano canzoni leggere. Vanno nella direzione divulgativa, pur presentando testi impegnativi, soprattutto se calati nel contesto di una poetica come la mia che è una poetica difficile.

 Mi sembra che esistano due piani base nella lettura della poesia: un’espressione come ‘superba è la notte’ di Alda Merini, ad esempio, può essere letta in superficie, ma anche nascondere una sequenza di piani di lettura, posti uno dietro l’altro in prospettiva…
 I.T. - I quadri dello spettacolo rimandavano ad alcuni aspetti della poesia contemporanea: nel primo, intitolato “Solco artificiale neve”, c’era l’immagine del bianco ad indicare l’accusa che viene mossa alla poesia contemporanea, ossia quella di essere fredda, distante, di non coinvolgere. E infatti la poesia contemporanea non vuole piacere, non fa niente per piacere. Vuole essere espressione di una necessità. E nei giorni nostri esiste anche questo aspetto di estraniamento, di solitudine, di freddo. E qui si slitta nel secondo quadro dello spettacolo, “Oscurità”: la poesia contemporanea è difficile da capire, come è difficile da capire l’esistenza, non si può fingere che sia facile. E se c’è un’adesione della parola al mondo, al tempo, la poesia contemporanea non può essere una poesia facile. D’altro canto, anche Celan - che fu accusato di ‘oscurità’ perché le sue erano poesie difficili - diceva che non bisogna cercare di capire, ma leggere e ascoltare… leggere, leggere e ancora leggere stando alla lettera, senza cercare il concetto, stando umilmente dentro alle parole. Alla fine ci si rende conto di aver capito, ma non ci arriva senza la ragione: questa è la differenza tra il significato delle parole ed il senso che trasportano su un piano più sotterraneo.

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